Il piccolo azionista: ‘Il debito? E’ sempre lì’

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Intervista a Francesco Fantuzzi, presidente del gruppo interprovinciale piccoli azionisti IREN – Reggio Emilia

Osservando le cose da Reggio Emilia, che clima si respira in IREN?

Sono reduce dall’assemblea degli azionisti e la cosa che mi ha colpito di più è la sintonia mostrata dai tre sindaci di Genova, Torino e Reggio Emilia. Di solito l’assemblea inizia con la relazione del consiglio di amministrazione, invece questa volta hanno fatto parlare prima gli azionisti di controllo, i sindaci appunto, ed è una scelta abbastanza irrituale, che in qualche modo rompe la liturgia delle società per azioni. Pizzarotti invece si è tenuto in disparte, ha fatto diverse telefonate ed è andato via prima della fine della riunione.  Mi sembra un indizio che dà un’idea dell’attuale clima.

Veniamo alle dolenti note. Il debito.

Il bilancio 2018 ci dice che l’esposizione di IREN, calcolata secondo i criteri contabili internazionali, rimane attestata a 2,6 miliardi di euro.  A ogni bilancio il gruppo dirigente ci spiega che l’indebitamento è cresciuto perché ci sono state nuove acquisizioni, ad esempio questa volta c’è stata la fusione con l’ACAM di La Spezia. E ogni volta io faccio osservare che le acquisizioni aumentano il debito ma anche il fatturato e quindi c’è qualcosa che non funziona.

Stavolta però pare che si avvicini la cessione di OLT, la società che gestisce il rigassificatore di Livorno, che è una delle maggiori fonti di indebitamento.

Per OLT c’è l’offerta non vincolante di un fondo americano, ma bisogna vedere se e come si chiude quest’operazione. Intanto i 440 milioni di crediti vantati da IREN nel bilancio sono stati svalutati a 410 (e non è una bazzecola) e sono stati messi a bilancio come crediti a breve termine, ma evidentemente non è così. Se anche la cessione andasse in porto si tratterebbe presumibilmente di un bagno di sangue. I rigassificatori ormai non si fanno più. Il rischio è quello di incassare una minusvalenza significativa.

Insomma si raccolgono i frutti di una strategia fondata sul debito?

Certo. A dire il vero non si tratta di una scelta di questo gruppo dirigente, ma di una strategia che parte nel 2012. Il problema è che continuare a fare investimenti utilizzando la leva del debito è rischioso, soprattutto se la redditività dell’investimento non è tale da ripagare gli interessi. Del resto se ai dirigenti vengono dati premi basati sulla redditività a breve termine invece che sul consolidamento patrimoniale non c’è da stupirsi.

Nel tuo intervento all’assemblea tu hai riproposto sia il tema dei compensi sia quello delle sponsorizzazioni. Si tratta di somme significative, non tanto per l’ammontare in sé, ma perché è uno dei modi con cui la politica fa girare soldi che producono consenso.

Per quanto riguarda i compensi, per citare solo gli emolumenti dell’ad Massimiliano Bianco, fissati nel maggio del 2016, ammontano a 726.000 euro. Le sponsorizzazioni invece sono pari a 9,5 milioni di euro. Insomma sono cifre neanche così irrilevanti, anche se sono nulla rispetto a un bilancio come quello di IREN. Poi è vero che per la politica c’è in ballo il consenso, perché in molte città ormai il welfare lo fai in gran parte grazie ai soldi di IREN e questo per la politica è un punto decisivo. E spiega anche il fatto che paradossalmente i sindaci danno il via libera a bilanci con compensi e sponsorizzazioni milionarie, mentre i fondi di investimento privati sono contrari. E forse spiega anche perché l’azienda, che dopo cinque anni di richieste da parte dei piccoli azionisti finalmente ci ha consegnato dei dati sulle sponsorizzazioni, ci ha dato i numeri complessivi, ma non il dettaglio. In altre parole sappiamo quanto è stato dato e a chi, ma non quanto è stato dato a ciascuno dei beneficiari.

Reggio Emilia è forse l’unica città in cui la ‘cinghia di trasmissione’ tra PD e IREN sembra essere rimasta intatta.

Sì, anche se con qualche piccola variazione.  Diciamo che l’avvicendamento tra Rocchi e Ferretti come rappresentanti di Reggio nel CdA rispecchia abbastanza fedelmente l’andamento del recente congresso del PD in termini di rappresentanza delle sue diverse anime.

Traduciamo noi: Rocchi era legato a Renzi, mentre Ferretti è un uomo della cooperazione, che esprime la vecchia anima ex PCI.  E per quanto riguarda Pizzarotti?

Pizzarotti la sua scelta decisiva su IREN l’ha fatta nel 2013, quando era ancora nel M5S, votando a favore di  uno statuto che dava più potere al CdA togliendolo agli azionisti. Lui aveva il cappio al collo dell’inceneritore. Sta di fatto che approvò quello statuto, contraddicendo le posizioni di principio dei Cinque Stelle e subito dopo entrò nel consiglio di presidenza dell’ANCI, l’associazione dei comuni italiani, proprio quando Delrio, ex sindaco e uomo forte del PD a Reggio, ne era a capo.

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