INTERVISTA Rebecca Garelli: ‘Perché la scuola americana sciopera’

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Rebecca Garelli è un’insegnante di scienze di settimo grado (corrisponde alla nostra scuola media) in una scuola di Phoenix, Arizona, è iscritta all’Arizona Education Association, affiliata al National Education Association, sindacato della scuola che dichiara quasi tre milioni di iscritti. Ma Rebecca Garelli è anche tra le promotrici del movimento Red for Ed citato nel lungo reportage di Labor Notes che abbiamo tradotto. Le abbiamo chiesto di fornirci qualche dettaglio in più sulla mobilitazione e, se voleva, di mandare un messaggio agli insegnanti italiani. Rebecca Garelli, come è chiaro dal cognome, ha sposato un italiano di origini calabresi.

Secondo te perché la reazione degli insegnanti avviene proprio ora? E’ un effetto della situazione politica generale? C’è un legame col movimento degli studenti contro le armi? O la ragione è un’altra?

Guarda, in realtà negli USA la bufera che oggi vede protagonisti gli insegnanti stava montando da un periodo relativamente lungo. Dalla recessione in poi, almeno per ciò che ho potuto vedere io, i fondi per la scuola pubblica sono stati tagliati in modo drastico diminuendo drammaticamente. Da allora gli insegnanti sono già scesi in sciopero in molti Stati: Wisconsin, Washington, Illinois (Chicago) ecc. Nello Stato in cui vivo oggi, l’Arizona, sono stati tagliati un miliardo e mezzo di dollari ed è ciò che sta succedendo anche altrove negli Stati Uniti. Perciò non credo che l’attuale rivolta dei docenti sia direttamente collegata all’arrivo di Trump e della Segretaria all’Istruzione DeVos. Tuttavia il fatto che occupino queste cariche aggiunge tensione alla tensione pregressa e può contribuire a rendere la mobilitazione più intensa. In ogni caso il tema dei finanziamenti e gli scioperi erano già materia di discussione prima che arrivassero Trump e DeVos. Penso che la sola causa della rivolta siano stati i ripetuti tagli ai fondi per l’istruzione. Gli insegnanti sono da molto tempo fortemente sotto pressione, con le spalle al muro, costretti a fare sempre di più ricevendo sempre di meno. Per cui ne abbiamo abbastanza e ora stiamo rispondendo. Penso poi che le recenti tragedie dei massacri nelle scuole abbiano inaugurato una nuove era delle mobilitazioni degli insegnanti. Intendo dire che non stiamo combattendo solo per noi stessi, ma anche per i diritti e la sicurezza dei nostri studenti. Perché anche la sicurezza viene messa in discussione dai tagli. E quindi va bene proibire la vendita di armi da guerra, ma il problema è che la violenza è figlia di un disagio che i continui tagli non ci consentono di prevenire e, quando si manifesta, di individuare e affrontare.

Come si dovrebbe intervenire?

Ad esempio evitando classi con più di 30 alunni, creando condizioni di serenità nelle aule, facendo sì che non ci sia un solo psicologo in un istituto con oltre mille alunni. Invece le risorse ci vengono strappate via. Chi svolge la nostra professione è demoralizzato. In questo paese abbiamo zero rispetto. In molti considerano l’insegnamento un lavoro come un altro piuttosto che una professione o una missione.

State ricevendo solidarietà dagli studenti, dalle famiglie, da altri lavoratori? E dalla politica?

Al momento in Arizona stiamo lanciando azioni per chiedere solidarietà, con lo slogan ‘Costruire la solidarietà delle comunità’, in cui gli insegnanti stanno facendo opera di sensibilizzazione delle comunità nell’ambito dello Stato per aprire con loro una discussione su ciò che chiediamo e sul perché stiamo lottando. Abbiamo iniziato questa campagna solo ieri ma già abbiamo ottenuto titoli sui giornali e visto crescere i nostri consensi rapidamente. Anche i commercianti del luogo cominciano a esprimerci il loro sostegno esponendo locandine in vetrina e praticando sconti agli insegnanti. Le famiglie hanno partecipato ad alcun dei nostri eventi e stanno ‘dipingendo’ le loro auto applicando adesivi #ReforEd ai finestrini. Insomma stiamo prendendo slancio e acquisendo una visibilità. Abbiamo anche il sostegno delle nostre associazioni sindacali locali e quello degli iscritti del Partito Democratico.

A proposito, cosa pensi del sindacato? Secondo il racconto di Labor Notes sembra che si muova più per la pressione della base che per convinzione.

Qui in Arizona non ci sono sindacati forti. Io sono arrivata qui meno di un anno fa da Chicago, dove sono stata iscritta al locale sindacato degli insegnanti per undici anni. Qui c’è un clima un po’ differente da quello a cui ero abituata. Le organizzazioni sindacali qui non sono giudicate particolarmente bene, col passare del tempo iI numero dei loro iscritti è sceso e gli iscritti pensano che tali associazioni non abbiano un vero potere. Ora che invece abbiamo dato vita a un gruppo di base, diretto da insegnanti, la gente comincia ad avere fiducia nella possibilità di ottenere dei risultati, perché non abbiamo legami politici né riceviamo soldi da nessuno. Ho sentito colleghi dire: ‘Stavolta colpiremo nel segno’ oppure ‘Stavolta sentiamo che è diverso’.

E’ vero che molti dirigenti scolastici vi sostengono?

Sì. C’è una certa collaborazione tra insegnanti e dirigenti. Giovedì ad esempio mi incontrerò col mio dirigente e so che mi garantirà sempre il suo pieno sostegno. Mi è già capitato di incontrarmi col mio capo ed è sempre andata così. Credo che la ragione di questo atteggiamento sia che il nostro Stato è quello che paga meno gli insegnanti, l’ultimo della classifica, al 50esimo posto, e se esaminiamo quanto spende lo Stato per ogni alunno siamo al 48esimo posto. Gli amministratori/dirigenti vogliono cambiare questa situazione e vogliono anche più risorse. E siccome questo è uno Stato che riconosce il diritto al lavoro e scioperare è considerato illegale, una delle strategie per aggirare il problema è avere il sostegno dei dirigenti  e l’autorizzazione dei comitati scolastici in ogni distretto. Questo è una delle strategie che usiamo per proteggere gli insegnanti da ritorsioni e dalla perdita dell’abilitazione. Se abbiamo approvazione e sostegno allora siamo protetti, almeno questo è il sentire comune.

In Italia l’informazione parla della vostra lotta. Vuoi dire qualcosa agli insegnanti italiani?

Solo che siamo insegnanti e che abbiamo bisogno di sostegno. Stiamo lottando per gli studenti, gli insegnanti e le comunità, perché crediamo che ogni ragazzo meriti  un’educazione gratuita ed equa. Se c’è qualcosa per cui pensiamo che valga la pena di lottare è proprio questa causa.

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