Appena uscito…

da New York a Passo Corese. Conflitto di classe e sindacato in AmazonPuntoCritico, 2024, 140 pp. 6 infografiche a colori, 12,00 euro. Saggi di Charmaine Chua-Spencer Cox e di Marco Veruggio. Introduzione di Sergio Bologna. Infografiche di Emanuele Giacopetti. Per ordini e presentazioni scrivi a assopuntocritico@gmail.com – 3337914004 (Whatsapp). SCHEDA EDITORIALE

Amazon, la società del futuro?

Note per un progetto aperto di inchiesta.

Amazon non è soltanto un grande gruppo di e-commerce di successo. È l’incarnazione della logica del capitalismo monopolistico portata alle estreme conseguenze. Il gruppo americano già oggi, grazie a una quarantina di società controllate, oltre che nelle vendite online opera in settori come i servizi cloud (Amazon Web Service), la produzione e distribuzione cinematografica (Amazon Prime Video), la grande distribuzione organizzata (Whole Foods, Amazon Fresh), ma l’elenco è più lungo e in continua espansione. Un articolo pubblicato nel novembre del 2020 da CBInsights, intitolato The nine industries Amazon could disrupt next, cita una nota frase di Jeff Bezos – “Your margin is my opportunity” (i tuoi margini di profitto per me sono un’opportunità) – e spiega come la sua creatura nei prossimi cinque anni potrebbe aggredire i margini dei gruppi che dominano cinque importanti settori economici– vendita e distribuzione dei farmaci, credito alle piccole imprese, logistica, vendita di generi alimentari, pagamenti – a cui potrebbero seguirne altri quattro – assicurazioni, moda di lusso, smart home, casa e giardinaggio. In Italia a maggio Amazon ha ottenuto l’autorizzazione del MISE per entrare nel mercato della telefonia (Amazon Connect per il momento offrirà i suoi servizi alle aziende e non ai privati, ma un domani chissà? IlFatto280521) e si parla di un ingresso nella grande distribuzione organizzata o tramite una collaborazione con Esselunga o direttamente con l’acquisto di una catena (Despar?).

 

In secondo luogo Amazon è il risultato dell’innesto delle nuove tecnologie sui classici modelli di organizzazione del lavoro: Bruno Cattero e Marta D’Onofrio (Orfani delle istituzioni. Lavoratori, sindacati e le “fabbriche terziarie digitalizzate” di Amazon, in Quaderni Rassegna Sindacale – Lavori, 2018, 1, 7-28.) parlano di “taylor-fordismo digitale” o di “neofordismo digitale”, perché nell’organizzazione del lavoro all’interno dei magazzini il rigido controllo fordista sulla prestazione lavorativa, esercitato grazie a strumenti come scanner, intelligenza artificiale e big data prevale sulla divisione del lavoro taylorista. La tecnologia consente di imporre ritmi e disciplina, aggirando gli effetti “socializzanti” della fabbrica: “in questi magazzini i lavoratori sono estremamente isolati. Qui l’organizzazione del lavoro, infatti, si basa su figure come i pickers, che prendono la merce sugli scaffali e corrono avanti e indietro tutto il giorno o chi confeziona pacchi per l’intero turno stando da solo nella sua postazione. Non c’è un nastro trasportatore dove i lavoratori hanno la possibilità di parlare” (Charmaine Chua: una strategia sindacale per i lavoratori di Amazon, Gli Stati Generali, 12 maggio 2021).

A mostrarci fino a che punto si possano spingere frammentazione e “cottimizzazione digitale” è un servizio lanciato da Bezos nel 2005, il Mechanical Turk, una sorta di intermediazione di manodopera via internet, con centinaia di migliaia di “proletari del clic”  sparsi in tutto il mondo, ciascuno seduto davanti al proprio computer a eseguire micromansioni elementari (hit) pagate pochi centesimi l’una (di cui una quota finisce ad Amazon come commissione) come addestrare software al riconoscimento delle immagini o registrare fatture di un’enoteca del Wisconsin (Antonio Casilli, Gli esseri umani sostituiranno i robot? Piattaforme di micro-lavoro e intelligenze artificiali, Feltrinelli, 2017, su questo si veda anche Antonio Casilli, Schiavi del clic, Youtube). Nel 2018 una ricercatrice italiana, Clara Mogno, ha lavorato in questo modo per 40 ore guadagnando 15 dollari  (Ho lavorato come Turca Meccanica per Amazon, Il Manifesto, 27 aprile 2018). Ovviamente si tratta di un modello che oggi è applicabile soprattutto nei servizi, ma è indubbio che con l’avanzare della digitalizzazione a ogni livello i campi che verranno investiti sono destinati ad aumentare. E si tratta di settori strategici, soprattutto in economie in cui il peso dei servizi sta diventando preponderante.

Infine Amazon è un gruppo con circa un milione e 300.000 dipendenti diretti nel mondo, in continuo turnover, e quasi altrettanti nell’indotto (dati aziendali), un fatturato quasi pari alle entrate del fisco italiano, insomma una “potenza di fuoco” degna di uno Stato e ciò fa sì che il gruppo di Bezos abbia una propria visione della società e dello sviluppo, che dalla comunità amazoniana fondata sull’inclusione e la leadership e sull’ossessione per il cliente (customer obsession), si proietta all’esterno plasmando l’ambiente circostante. Basti analizzare il copione ormai consolidato dell’atterraggio di Amazon in uno dei tanti comuni italiani, con gli annunci di migliaia di posti di lavoro sui giornali, l’impatto sul mercato immobiliare e il commercio, i servizi offerti dal gruppo americano alle comunità locali, dalla scuola fino agli hub vaccinali (Polesine24090920RomaToday030721).

A questo aspetto si aggiunge un elemento ulteriore che la pandemia ha accentuato: Amazon è il miglior interprete di una società in cui ogni ogni essere umano è un individuo che lavora, acquista, comunica col resto della società e, nel caso di Alexa, persino con gli elettrodomestici di casa propria, attraverso la rete e le aziende fornitrici di servizi online. Così che per ogni singolo atto quotidiano, come per ogni hit svolto dai suoi turchi meccanici, Amazon incassa una quota. Insomma Amazon è l’economia capitalistica che grazie al digitale penetra in ogni più recondito recesso della sfera privata e ne fa una potenziale sorgente di profitto. E la pandemia, facendo esplodere il fenomeno del lavoro remotizzato (anche la domanda di microlavori è aumentata del 30%), di fatto trasforma tutti i lavoratori che non svolgano mansioni strettamente manuali in potenziali turchi meccanici.

La retorica “ambientalista” con cui a tratti si cerca di ammantare questo modello sociale non regge alla prova dei fatti. Come racconta Paris Marx tre emittenti televisive europee in Gran Bretagna, Francia e Germania hanno denunciato la prassi consolidata di distruggere centinaia di migliaia di articoli nuovi, invenduti, a causa degli alti costi di stoccaggio nei magazzini. Ai venditori affiliati al marketplace di Amazon questa chiede cifre ragguardevoli per conservare l’invenduto sui propri scaffali e propone loro come alternativa a costo quasi zero di mandare tutto in discarica: la risposta nella quasi totalità dei casi è scontata. “Ventilatori Dyson, aspirapolvere, qualche computer MacBook o iPad. L’altro giorno abbiamo fatto sparire ventimila mascherine ancora dentro le confezioni” racconta un lavoratore britannico a ITV News, mentre l’inchiesta dell’emittente pubblica tedesca Das Erste mostra addirittura i filmati di lavoratori Amazon che danneggiano gli articoli destinati alla discarica con un taglierino, così da aggirare la legge che in quel paese vieta di buttare merce ancora utilizzabile (Internazionale100721). In Italia la stessa prassi viene documentata da un’inchiesta giornalistica del 2019, che però non suscita particolare interesse (Amazon, uno smaltimento al di sopra di ogni sospetto).

In questa visione atomizzata della società in cui la tecnologia, invece di essere utilizzata come strumento di emancipazione sociale, diventa uno strumento di isolamento e di controllo sociale dei lavoratori, di ottimizzazione dell’estrazione di plusvalore in nome della customer obsession, di cooptazione dell’intera esistenza umana nel mercato capitalistico, anche il lavoro perde la sua essenza di fenomeno sociale, di classe, ed è relegato nella sfera individuale, col corollario, tra l’altro, dell’inutilità del sindacato, perché se c’è un problema basta parlarne col proprio manager. “Work hard, have fun, make history” (Lavora duro, divertiti, fai la storia) è la citatissima massima di Bezos che contiene la sua filosofia del lavoro: fare un lavoro meccanico, ripetitivo, faticoso, ultraprecario per far sì che Bezos un giorno venga ricordato nei libri di storia (magari anche per essere stato il primo imprenditore volato nello spazio con mezzi propri) dev’essere considerato persino divertente, un’ulteriore sconfinamento dalla sfera oggettiva dello scambio tra forza-lavoro e salario a quella individuale della percezione che il singolo lavoratore ne ricava e che l’azienda cerca di plasmare a proprio uso e consumo.

La struttura del progetto

Da queste brevi osservazioni emerge come studiare il fenomeno Amazon significhi non solo analizzare un modello di organizzazione economica di successo, ma anche e soprattutto accumulare preziosi elementi di comprensione del potenziale sviluppo capitalistico, delle relazioni tra capitale e lavoro e della società nel suo complesso nei prossimi decenni. E dunque è un compito che non dovrebbe riguardare solo chi vi ha una relazione concreta e quotidiana, ma chiunque oggi ragioni sul futuro della nostra società e possibilmente su una società meno diseguale e più attenta alla giustizia sociale.

Eppure, aldilà di alcuni tentativi isolati di analizzare e porre all’attenzione pubblica alcuni tratti specifici del metodo Amazon, finora mancano tentativi organici di trattare l’argomento un’ottica più generale, affrontandone di petto gli aspetti di fondo e le potenziali dinamiche di lungo periodo. Finora in larga misura l’unica narrazione alternativa a quella che Amazon fa di se stessa è venuta dalle denunce dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali. Prendere i racconti dei lavoratori come punto di partenza, farli conoscere, passare dal particolare al generale, trarne insegnamenti e indicazioni pratiche da mettere a disposizione degli stessi lavoratori e delle loro organizzazioni, dell’informazione, della ricerca e della politica, significa pertanto riempire un vuoto di informazione e di analisi che, se lasciato crescere a dismisura, rischia di tradursi anche in una paralisi dell’azione.

Per questo il progetto si fonda su tre pilastri, ciascuno dei quali ha un obiettivo specifico, ma che tutti insieme convergono sullo scopo generale del progetto.

1) RaccontiAmazon: Raccontare Amazon e le condizioni di lavoro al suo interno perché non prevalga la logica del “però guadagnano 1.700 euro al mese”, per invogliare i lavoratori di Amazon e della filiera, cioè chi conosce la situazione da dentro, a inviarci cronache, segnalazioni e denunce e mappare i principali problemi, per capire in tempo reale come evolve la strategia produttiva e organizzativa di Amazon, quali risposte suscita, in che modo potrebbe essere esportata in altri luoghi di lavoro. Il podcast “Amazoniani!” è la prima iniziativa di questa sezione del progetto.

2) MappiAmazon: Mappare Amazon, una mappa in continuo aggiornamento della presenza di Amazon in Italia, perché si tratta di un’azienda in rapida espansione e perché conoscere la rete logistica e le differenti funzioni dei suoi nodi, come insegna l’esperienza americana, è fondamentale anche per chi affronta l’argomento dal punto di vista sindacale. Anche in questo caso si tratta di un lavoro da aggiornare e correggere in continuazione grazie alle informazioni che ci potranno fornire i lavoratori e chiunque intrattenga a vario titolo relazioni dirette con l’azienda.

3) Amazoniana: Un archivio delle esperienze di organizzazione e mobilitazione dei lavoratori amazoniani e delle riflessioni che ne sono scaturite in Italia, ma soprattutto a livello internazionale, perché qui da noi l’insediamento di Amazon è relativamente recente e per capirne la strategia è utile imparare dai paesi dove invece il gruppo opera da più tempo, gli Stati Uniti in primo luogo, ma anche paesi europei come la Germania.

Come abbiamo scritto all’inizio il nostro vuol essere un progetto “aperto”, pronto a integrare i contributi di lavoratori, sindacalisti, ricercatori, giornalisti, docenti e di chiunque sia interessato a collaborare con noi condividendo almeno in parte gli obiettivi del nostro lavoro. Chiunque sia interessato a collaborare a vario titolo o anche semplicemente a essere informato circa il procedere del progetto può contattarci.

Speciale Amazon, Cusano TV, 31 ottobre 2022 (parte 1)

Speciale Amazon, Cusano TV, 31 ottobre 2022 (parte 2)

“Amazoniade”, Roma, Teatro Le Sedie, 16 giugno 2023

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“Amazoniade” – La mostra, CSOA Gabrio (3-5 novembre 2023)

"Amazoniade", Premio Calcata 4.0 per il giornalismo digitale 

Rassegna stampa

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