PRIMO PIANO 4 marzo. ‘Per la sinistra un punto di non ritorno’

print
Martedì scorso, commentando i risultati delle elezioni, avevamo titolato ‘Sinistra liquefatta’, un giudizio che ci viene confermato da Jacopo Venier, con cui ci siamo scambiati alcune impressioni a una settimana dal voto. Venier, triestino, giornalista, è stato militante politico prima nella FGCI e nel PCI e successivamente in Rifondazione Comunista e nel PDCI, dove è stato membro della segreteria nazionale per oltre 10 anni. Eletto alla Camera nel 2006, un’esperienza che – come dice nell’intervista – lo ha portato anche a rivedere in parte la propria ‘cultura politica’, dal 2010 Venier ha fondato LiberaTV una web tv con cui ha voluto mettere a disposizione del variegatissimo arcipelago della sinistra e del sindacalismo più combattivo uno strumento di informazione e comunicazione. Negli anni successivi Venier ha partecipato ad alcuni tentativi di far lavorare insieme gruppi e correnti diverse dell’estrema sinistra, prima il Comitato No Debito poi Ross@. ‘Oggi – ci tiene a precisare prima dell’intervista – posso esprimere opinioni solo a titolo personale, perché non appartengo più a nessuna organizzazione politica e quindi rappresento solo me stesso’. Lo abbiamo tranquillizzato osservando che, come conferma anche il voto, si tratta di una condizione non molto dissimile da quella dei leader della sinistra italiana.

Un giudizio sulla sinistra, intesa in senso lato, da Liberi e Uguali fino alle liste da zero virgola, alle elezioni del 4 marzo e su come la sinistra sta reagendo alla sconfitta.

Le elezioni hanno segnato un punto di non ritorno. Dopo l’Arcobaleno, la Federazione della Sinistra, Rivoluzione civile e la listra Tsipras, con il misero risultato di Potere al Popolo si sono sperimentate tutte le possibili combinazioni di forze a sinistra finalizzate a realizzare una presenza istituzionale. Ma sono cadute anche le illusioni neouliviste di LeU mentre le liste di ‘testimonianza’ come il PC di Rizzo o Sinistra Rivoluzionaria non sono andate oltre un risultato marginale. La Sinistra in ogni sua versione (mai c’è stata tanta offerta elettorale) risulta indigesta all’elettorato. Bisogna prenderne atto e ripartire dalla consapevolezza che per una lunga fase sul terreno della rappresentanza non ci sarà spazio tra pura testimonianza e scelte molto, molto, pragmatiche.

Quanto hanno pesato gli errori della sinistra, non solo attuale, nella crescita del cosiddetto ‘populismo’?

Non dobbiamo pensare sempre di essere il centro del mondo. Il populismo ha vinto ad esempio negli USA e in Ungheria dove in pratica non esiste una Sinistra. Il populismo è un fenomeno mondiale che risponde allo smarrimento di masse immense di fronte alla nuova dimensione della globalizzazione e della digitalizzazione. Si cercano soluzioni semplici a problemi sempre più complessi. C’è un gregarismo dilagante che va alla ricerca di capi e capetti. Il mondo senza conflitti che era stato promesso dopo la caduta dell’URSS si è rivelato una tragica illusione. Siamo sull’orlo di guerre commerciali tra macro aree di mercato e le spese militari sono il primo campo di investimento. Insomma la Sinistra ha fatto tanto male a se stessa, ma anche se avesse commesso meno errori non è detto che non saremmo allo stesso punto.

A proposito di PaP tu dicevi una cosa interessante, cioè che è stato positivo il fatto che alcuni personaggi e soggetti che negli anni passati hanno costruito le proprie fortune denunciando gli errori degli altri, spesso anche usando a piene mani la retorica del ‘tradimento’, abbiano sperimentato che le cose non sono poi così semplici…

L’esperienza di PaP ha messo insieme una eterogenea galassia che andava dal movimentismo dei centri sociali fino ad arrivare addirittura a chi si propone di ricostruire tale quale il PCI. Tra queste forze ci sono anche molti di quelli che negli anni hanno criticato ‘da sinistra’ tutte le esperienze precedenti. Ora questi gruppi hanno potuto misurare il consenso reale delle loro posizioni che, possono anche essere in parte giuste, ma non sono mature storicamente. Inutile nascondersi dietro il vittimismo. Gli altri certo hanno giocato sporco, ma quando decidi di giocare devi tenere conto della forza e degli strumenti delle altre squadre. Vedo invece ancora molti alla ricerca di alibi per poter continuare come nulla fosse successo. Tra gli alibi peggiori c’è appunto la categoria del ‘tradimento’, che non spiega niente e serve solo a coprire i propri limiti ed errori.

Non trovi che tra i fattori in gioco ci sia anche quello che una volta si chiamava ‘cretinismo parlamentare’? insomma l’idea che la politica alla fine sia un gioco tutto interno alle istituzioni e al circo mediatico che le circonda, dove i politici si illudono di compensare l’assenza di un insediamento sociale andando in tv, recitando slogan più ‘radicali’ e sperando di infilarsi dentro il Parlamento per ‘contare’ qualcosa, anche se fuori  da lì non rappresentano nulla.

Il misero risultato di PaP ci dice in modo definitivo che non è alzando l’asticella programmatica che si ottiene credibilità e consenso. La politica, soprattutto quella che si pone anche la sfida elettorale, presuppone insediamento politico, sedimentazione e radicamento sociale. La sovrastruttura politica non può sopperire al cronico deficit di presenza e azione nella struttura economica e sociale. Io stesso ho avuto l’opportunità di verificare, durante la mia breve esperienza parlamentare, quanto illusorio sia pensare che si possa contare da dentro le istituzioni. Ho dovuto rivedere molta della mia ‘cultura politica’ per prendere atto che anche la migliore delle intenzioni e delle pratiche istituzionali non potrà mai resistere ai rapporti di forza reali nella società. Pensare che si possa cambiare il mondo dal Parlamento, dalla televisione o da internet significa infilarsi nell’illusione populista e grillina che salta a pie’ pari il nodo della lotta di classe. Significa quindi smettere di essere di sinistra.

Sei giorni dopo le elezioni a Napoli parte già una nuova lista di sinistra per le europee del 2019: la lista transnazionale di Varoufakis e di De Magistris. Che ne pensi?

Varoufakis dalla sconfitta in Grecia sembra aver capito che, di fronte ai poteri reali che si muovono in Europa, è una pericolosa illusione poter pensare di cambiare le politiche tornando alla sovranità nazionale. La Grecia nella crisi ha fatto i conti direttamente con gli interessi dei singoli Stati, Germania in testa, e questa situazione sarebbe stata forse ancora peggiore senza il contesto istituzionale dell’Unione Europea. Credo che da qui derivi la sua posizione che non è favorevole alla rottura dell’Unione Europea. Si tratta di una posizione utile se aiuterà a diffondere la consapevolezza che in questo mondo in cui il capitale ha come dimensione minima quella continentale (USA, Russia, Cina) la lotta di classe deve svilupparsi a quel livello. De Magistris lo vedo più tattico. A Napoli ha vinto ma è assediato. Cerca di uscire dal fortino e conta sul fatto di essere una delle poche risorse spendibili, anche se logorate, a sinistra.

Come accennavi prima ci sono alcuni aspetti che sfuggono sempre in queste discussioni postelettorali e cioè che la sconfitta della sinistra italiana non è un fatto contingente, bensì una sconfitta storica e che affonda le sue radici in un fenomeno mondiale legato anche a fattori oggettivi, cioè al fatto che è cambiato il mondo, che c’è una crisi economica devastante da 10 anni, che ad esempio l’Europa non è più al centro del capitalismo globale…

Sono d’accordo. Abbiamo perso nel 1980 davanti ai cancelli della Fiat quando il capitalismo ha spezzato l’unità della classe operaia ed ha riorganizzato la produzione. Abbiamo perso nel 1989 quando non siamo riusciti a ‘rifondare’ la nostra storia (non solo quella del PCI, ma quella di tutta la Sinistra in Italia) salvandola dal crollo dell’URSS. Abbiamo perso perché la competizione capitalistica globale amplificata dalla crisi non ha trovato un’Europa politica capace di battersi per un nuovo modello di sviluppo ma un continente in decadenza terrorizzato di perdere i privilegi che gli derivano dal passato colonialista. Infine, ma non per ultimo, più di recente abbiamo perso perché il digitale rompe i legami sociali e amplifica l’individualismo.

Sta andando per la maggiore l’idea, lanciata dall’Economist un paio di anni fa, che lo scontro oggi sia tra apertura e chiusura. Un modo per mettere in soffitta la dicotomia tra sinistra e destra. Pensi che effettivamente la sinistra sia finita e, se no, c’è, da vecchio militante, un abc da cui ripartire?

La Storia, intesa come conflitto di classe, non finisce mai. Il punto è che Marx ebbe la capacità di capire fino in fondo il proprio tempo e il sistema economico e sociale che lo governava. Dalla sua lucida analisi hanno preso forza movimenti immensi che hanno cambiato il mondo. Quel mondo però coi suoi cambiamenti (il capitalismo non è mai fermo e uguale a se stesso) ha reso quelle analisi bisognose di un aggiornamento. Avendo mappe vecchie e coordinate confuse noi oggi navighiamo senza strumenti in un mare in tempesta. Non dico che ci vuole un nuovo Marx, perché sarebbe un altro alibi. Dico invece che bisogna aprire la mente con il coraggio della verità. Guardare dove meno ci piace. Alle cose che non vorremmo che fossero. E prendere atto con umiltà di quello che siamo. Una piccolissima minoranza. Se sapremo comparare obiettivi e strumenti, tattica e strategia dentro un quadro che rompa la gabbia tra massimalismo inconcludente e minimalismo concretista allora potremmo proseguire un cammino utile. Con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà.

Questo articolo è tratto dall’ultima newsletter di PuntoCritico. Se vuoi accedere alla newsletter integrale clicca qui.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi