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‘Cura Italia’: le misure sul lavoro

Il testo del decreto su sanità, famiglie, lavoratori e imprese conferma assenza di strategia e di visione prospettica. I lavoratori ottengono soprattutto ammortizzatori, le imprese risparmi e concessioni normative, chi ne esce peggio forse è quella classe media che dovrebbe essere la base sociale almeno del M5S. Una sintesi delle misure inerenti il lavoro dipendente e alcune riflessioni.

Dopo cinque lunghi giorni di gestazione (era atteso per venerdì) il Governo ha partorito il Decreto legge 18, pomposamente ribattezzato ‘Cura Italia’, sul potenziamento del SSN e il sostegno a famiglie, lavoratori e imprese. I cinque giorni riflettono probabilmente il consueto braccio di ferro tra partiti, ministri e lobby per assicurarsi qualche risorsa in più. Esempio emblematico il lungo articolo 72 sulle misure per ‘l’internazionalizzazione del sistema paese’, tra cui la ‘campagna straordinaria di comunicazione volta a sostenere le esportazioni italiane’, con relativi fondi, un evidente tributo pagato a Di Maio, di cui non si percepiva l’urgenza.

Rischiare il contagio per lavorare sei mesi

A un mese e mezzo dalla dichiarazione di emergenza del 31 gennaio il Governo un commissario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contrasto e di contenimento dell’epidemia, mentre per quanto riguarda le famose 20.000 assunzioni nella sanità si conferma l’impostazione del decreto dell’8 marzo, che ha spinto persino il quotidiano di Confindustria a titolare: ‘In trincea con contratti precari, Il decreto chiude la porta a qualsiasi percorso di stabilizzazione per i camici bianchi che decideranno di rispondere alla “chiamata”’. Insomma si chiede a medici e infermieri di lavorare in condizioni proibitive, con buone probabilità di contrarre il virus, per essere rispediti a casa dopo sei mesi.

L’assenza di visione a medio e a lungo termine caratterizza l’impianto complessivo di un provvedimento che proprio non riesce a guardare oltre i prossimi sei mesi, sicché se l’emergenza dovesse prolungarsi oltre il 3 aprile, come è probabile, bisognerebbe rituffarsi in un’altra cinque giorni di contrattazioni tra le forze politiche, proprio mentre l’attuale decreto sarà in fase di conversione in Parlamento (ci sono 30 giorni di tempo).

Nella sintesi che segue proviamo a condensare le novità che riguardano il lavoro dipendente, a spiegarle in termini comprensibili e a segnalare alcune incognite (rimandiamo in ogni caso alla lettura del testo sulla Gazzetta Ufficiale). Il sindacato ottiene ammortizzatori sociali per tutti e qualche altra agevolazione, che, considerata la scarsa verve dimostrata, è già qualcosa.

La grande impresa porta a casa discreti risultati (vedi l’esenzione dal contributo addizionale per la cassa integrazione e dagli oneri per la quarantena/malattia) e anche alcune misure di emergenza che un giorno potrebbero rivelarsi vantaggiosi precedenti (vedi oltre: diritto di sciopero e smart working). La piccola impresa e il popolo delle partite IVA, che dovrebbero costituire la base sociale almeno del M5S, ottengono forse meno di tutti. Vale per i 600 euro di indennizzo una tantum per partite IVA e collaboratori, così come per le altre misure: rinvio dei versamenti alla pubblica amministrazione dal 16 al 20 marzo (sic!), per ritenute, contributi e IVA al 31 maggio e  moratoria di sei mesi sui prestiti, più qualche blanda misura di credito d’imposta e qualche soldo in più sul fondo di garanzia per le PMI. Insomma anche per la ‘classe media’ non c’è da scialare.

Cassa integrazione

Per i dipendenti delle aziende che sospendono o riducono l’attività per effetto dell’epidemia è prevista la cassa integrazione per tutti i lavoratori, senza limiti legati al settore di attività né alla dimensione aziendale (dunque anche per imprese con un solo dipendente, unici esclusi i lavoratori domestici) per un massimo di 9 settimane fruibili a partire dal 23 febbraio e comunque entro agosto. Sono previste due tipologie: quella ordinaria (CIGO) e quella in deroga (per i settori non coperti da contribuzione). L’importo dell’assegno, che non copre l’intero ammontare della retribuzione, viene determinato come di consueto (80% della retribuzione coi due massimali:  939,89 euro per retribuzioni fino a 2159,48 al mese e 1129,66 per retribuzioni superiori). La procedura di informazione, consultazione ed esame congiunto con le organizzazioni sindacali prevista per la CIGO viene confermata, ma i tempi sono accelerati vista l’emergenza, mentre per la cassa in deroga è necessario un accordo sindacale con le strutture territoriali (non aziendali) delle organizzazioni maggiormente rappresentative. Le aziende sono esonerate dai contributi addizionali che normalmente versano quando accedono alla cassa integrazione e le nove settimane non vengono detratte dalla durata massima della cassa integrazione prevista per legge. La dotazione del fondo per la CIGO è di 1,3 miliardi, quella per la cassa in deroga 3,3 miliardi. Per quanto riguarda in particolare la cassa in deroga, la cui platea è molto estesa, è difficile valutare quante potrebbero essere le richieste e dunque se le risorse previste saranno adeguate. Va aggiunto che l’erogazione da parte dell’INPS avviene normalmente con alcuni mesi di ritardo. Rispetto a questo problema ciascuna regione potrebbe istituire un fondo di rotazione che consenta alle banche di anticipare l’assegno al lavoratore munito di mandato INPS, con la garanzia del rimborso da parte di un ente pubblico (ovviamente dipende anche da quale sarà l’ammontare complessivo regione per regione).

Congedi parentali

I lavoratori dipendenti, iscritti alla gestione separata dell’INPS o autonomi iscritti all’INPS con figli fino a 12 anni hanno diritto, insieme, a 15 giorni supplementari di congedo parentale, cioè possono rimanere a casa coi figli nel periodo di chiusura delle scuole, con condizioni migliori rispetto alle regole dei normali congedi parentali: età dei figli fino a 12 anni (invece di 8), indennità pari al 50% del salario (invece che al 30%) e versamento dei contributi figurativi. Se i figli hanno da 12 a 16 anni il congedo spetta ai soli dipendenti del settore privato, ma senza indennità né contribuzione figurativa (e non se l’altro genitore beneficia già di ammortizzatori sociali oppure non ha lavoro), dunque con le sole tutele del divieto di licenziamento e della conservazione del posto. Se i figli sono disabili non vi sono limiti di età. Gli stessi lavoratori, più gli autonomi iscritti a casse previdenziali diverse dall’INPS, hanno diritto a ricevere un bonus di 600 euro per baby sitter tramite voucher/libretto famiglia. Le risorse previste ammontano a 1,26 miliardi.

Una tantum per autonomi, stagionali, lavoratori dello spettacolo

I liberi professionisti con partita IVA, i collaboratori iscritti alla gestione separata dell’INPS, gli autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’INPS (ma non ad altre casse previdenziali) in attività alla data del 23 febbraio e i lavoratori stagionali del turismo che hanno perso il lavoro tra l’1 gennaio e l’entrata in vigore del decreto hanno diritto a un’indennità di 600 euro per il mese di marzo. Stessa indennità per i lavoratori iscritti all’ENPALS, il fondo previdenziale dei lavoratori dello spettacolo confluito nell’INPS, con 30 giornate contributive (sulle 120 richieste in un anno) nel 2019 e un reddito inferiore a 50.000 euro. Per questi ultimi le risorse sono di 48,6 milioni di euro ma l’articolo 89 del decreto stabilisce che artisti, autori, interpreti ed esecutori possano accedere anche alla ripartizione del fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo.

Lavoratori appalti scuole e centri anziani

I dipendenti di aziende o cooperative private che operano in appalto o convenzione con enti pubblici fornendo prestazione sociosanitarie o socioassistenziali presso scuole e centri per anziani potranno essere impiegati dalle pubbliche amministrazioni in attività alternative, domiciliari o a distanza (nel rispetto delle regole sanitarie) e le pubbliche amministrazioni sono autorizzate a versare ai gestori privati l’intero importo di quanto previsto dal contratto d’appalto o dalla convenzione anche per il periodo di sospensione dei servizi.

Quarantena

I lavoratori dipendenti del settore privato posti in quarantena hanno diritto allo stesso trattamento anche economico previsto per la malattia, ma gli oneri sono a carico dell’INPS (o degli altri istituti previdenziali), in quanto le aziende ne sono esentate, dietro presentazione di richiesta all’INPS (o ad altro ente previdenziale) e nei limiti dei fondi stanziati a copertura, che ammontano a 130 milioni di euro.

NASPI, blocco licenziamenti e premio

I termini per la presentazione delle domande per l’indennità di disoccupazione vengono prolungati di 60 giorni e per 60 giorni sono vietati i licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo. Eventuali procedure di licenziamento in corso sono sospese. Ai lavoratori dipendenti che nel mese di marzo hanno lavorato presso la sede della propria azienda spetta un premio di 100 euro mensili (o frazioni proporzionali al numero di giorni lavorati).

Nazionalizzazione di Alitalia

Viene autorizzata la costituzione di una società pubblica controllata dal ministero dell’economia al 100% o comunque sotto controllo pubblico (anche attraverso una società partecipata dallo Stato) per rilevare Alitalia. In sostanza la compagnia di bandiera viene nazionalizzata. E’ istituito un fondo di 500 milioni di euro per il trasporto aereo.

Mascherine

Per quanto riguarda la sicurezza per i lavoratori ‘oggettivamente impossibilitati’ a mantenere la distanza di sicurezza di un metro mentre svolgono la loro attività, le ‘mascherine chirurgiche in commercio’ (utilizzabili anche in deroga ai requisiti di legge per l’immissione in commercio) sono considerate a tutti gli effetti DPI (Dispositivi di Sicurezza Individuale). Ciò suggerisce che se il datore di lavoro non le fornisce ai dipendenti questi possano rifiutarsi di effettuare la prestazione.

Smart working e lavoratori digitali

Infine due potenziali polpette avvelenate per i lavoratori (e assist alle imprese). Fino alla cessazione dell’emergenza il lavoro agile (smart working) diventa la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nella pubblica amministrazione. La presenza del lavoratore in ufficio sarà legata all’effettiva necessità di tale scelta. Il decreto prevede che la prestazione possa essere effettuata ‘attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente’, andando in deroga all’articolo 18 della Legge 81/2017, che recita: ‘Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa’ (corsivo nostro). A questo proposito segnaliamo due aspetti: il primo è che salta il principio che l’azienda debba assegnare ai dipendenti gli strumenti per lavorare a casa, tra l’altro senza alcuna contropartita in termini economici; il secondo è che, saltato quel principio, il datore di lavoro non è più responsabile di eventuali problemi relativi alla sicurezza e all’operatività di tali mezzi.

Questa deroga, che il decreto introduce nel settore pubblico, e che si somma alla sospensione fino a luglio dell’obbligo di accordo individuale col potenziale smart worker, rappresenta un pericoloso precedente che potrebbe estendersi anche nel privato. Con quali conseguenze lo si evince, ad esempio, dal vademecum sul lavoro agile pubblicato dal Sole24Ore100320. In quel decalogo il giornale di Confindustria, dopo aver sostenuto infondatamente che il datore di lavoro non è tenuto a fornire PC e connessione ai propri smart worker, suggerisce di ‘verificare il rispetto delle discipline interne, aziendali e obbligatorie in materia di protezione dei dati (anche a tutela del patrimonio aziendale), dando anche direttive nella informativa o nell’accordo (o ancora in eventuale regolamento) ai fini della protezione del segreto industriale nonché della protezione dei dati personali’. Insomma il lavoratore secondo le aziende non solo dovrebbe usare il proprio PC, ma dovrebbe assumersi l’onere di proteggere dati e informazioni di proprietà del proprio datore di lavoro conservati nel proprio hard disk e risponderne in caso di intrusioni dall’esterno.

La seconda polpetta avvelenata potrebbe riguardare il dritto di sciopero. L’articolo 82 del Decreto infatti stabilisce che ‘Le imprese fornitrici di reti e servizi di comunicazioni elettroniche accessibili al pubblico’ sono ‘imprese di pubblica utilità’. Ciò potrebbe preludere alla decisione di catapultare un’ampia fetta di lavoratori che operano nel campo di internet e del digitale nell’ambito dei servizi essenziali individuati dalla legge 146/90 con conseguente limitazione del loro diritto di sciopero, un’opzione del resto era già preannunciata nell’ultima relazione del Garante sugli scioperi come parte di una più generale estensione del campo di applicazione della norma.

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