MILANO, vocazione europea e bus ai privati

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Nella città che molti considerano l’ultimo baluardo del centrosinistra comincia a diventare chiaro il modello che ha in mente il sindaco-manager: grandi eventi, centro città per soli ricchi e servizi pubblici ai privati. Il tutto in nome della vocazione internazionale di Milano. Il piano per la privatizzazione di ATM, i cui contenuti sono secretati ma intuibili, riflette quell’idea.

Nella città che festeggia l’assegnazione, insieme a Cortina, delle Olimpiadi invernali 2026, il 2019 ha portato anche altre importanti novità, forse non del tutto slegate dall’annuncio di qualche giorno fa a Losanna. La prima, apparentemente banale, è l’aumento del biglietto della corsa urbana sui mezzi dell’ATM a 2 euro, la seconda è il possibile affidamento del trasporto pubblico locale a un pool di imprese pubbliche e private, notizia trapelata, abbastanza fortuitamente, ai primi di maggio. Novità che arrivano nella città che in molti considerano ormai l’ultimo bastione del centrosinistra.

La battaglia dei ticket

L’aumento della corsa urbana da 1,50 a 2 euro, deciso nei giorni scorsi, segue quello da 1 euro a 1,50 deciso nel 2011 dalla giunta dell’ex sindaco Pisapia. L’obiettivo è recuperare le risorse che probabilmente verranno tagliate dal Governo al Fondo Nazionale Trasporti nella trattativa sul bilancio con Bruxelles, circa 300 milioni di euro a livello nazionale, di cui 50 dovrebbero pesare sulla sola Lombardia. Con questo aumento ATM, che ha chiuso il 2018 con un attivo di 18,5 milioni di euro, prevede di incamerare entrate aggiuntive per circa 51 milioni di euro. Il capoluogo lombardo da metà luglio sarà la città col biglietto più caro d’Italia (dopo Venezia). La conferma è avvenuta dopo una lunga battaglia in consiglio comunale, con la Regione Lombardia guidata dal centrodestra contraria e la Lega che ha raccolto le firme per bloccare il provvedimento.

E’ vero che il costo rimarrà inferiore rispetto a grandi metropoli europee come Berlino, Londra e le capitali dei paesi scandinavi (da poco meno di a più di 3 euro). Ma è vero anche che si pagherà più che a Parigi (dove il biglietto è a 1,90 euro, mentre il carnet da 10 costa 14,40, contro i 18 dell’ATM) e che i confronti vanno fatti tenendo conto di come sono congegnati nel loro insieme  i sistemi tariffari. A Berlino ad esempio la corsa costa 2,80 euro, ma per i viaggi di poche fermate è possibile usufruire di un biglietto ridotto da 1,70 (un’opzione che a Milano potrebbe essere attivata nel 2020). Senza contare che in Europa si sta facendo strada l’idea di rendere il trasporto pubblico gratuito (a proposito di climate change!): in Lussemburgo dal 2020 si viaggerà gratis; a Tallin, capitale dell’Estonia (450.000 abitanti) i residenti già non pagano dal 2018; in Germania il dibattito sul trasporto pubblico gratuito è aperto da tempo, alcune città potrebbero adottarlo a breve, mentre l’ex capitale Bonn sta studiando l’introduzione del biglietto a 1 euro per bus e metro. Ma, soprattutto, i paragoni andrebbero fatti tenendo conto delle retribuzioni.

Milano Next

La seconda, più importante novità è trapelata ai primi di maggio, quando un’associazione temporanea di sei imprese, Milano Next (ATM, A2A, BusItalia, Hitachi Rail STS, Commscon Italia, IGPDecaux) ha chiesto al Comune di Milano e all’Agenzia per la mobilità di Milano, Monza, Lodi e Pavia di affidarle il trasporto pubblico per 15 anni, presentando un piano finanziario secretato basato sul project financing. Il sindaco Sala, a proposito dell’ipotesi Milano Next,  dichiarato: ‘Mi pare una buona possibilità in senso generale, perché mette insieme delle eccellenze. Però, da qua a dire che è sostenibile, prima voglio un giudizio degli uffici’ (la decisione dovrebbe arrivare entro agosto).

Il quadro normativo garantisce massima libertà di scelta. La normativa europea infatti consente la possibilità sia di mettere a gara il servizio sia di mantenerlo in mano pubblica (la cosiddetta gestione in house). L’ultima finanziaria del governo Gentiloni, recependo quanto previsto dal Decreto Madia in materia di trasporto pubblico locale, aveva previsto un taglio del 15% dei trasferimenti del Fondo Nazionale Trasporti ai comuni che avessero deciso per l’in house, ma l’attuale governo ha congelato la penalizzazione. Fa testo la legge regionale, ma, come osserva AutobusWeb120619:  ‘In questa fase quello che viene all’evidenza è che non c’è una determinazione, una spinta proattiva da parte della Regione Lombardia anche perché il tema del mercato della concorrenza se prima era un ‘mantra prevalente’ oggi si è sfarinato’. Insomma la Lega nicchia furbescamente. Né d’altra parte il Comune di Milano può invocare emergenze finanziarie, come è stato fatto in altre città. Dunque se il centrosinistra sceglierà di accendere il semaforo verde sarà la scelta deliberata di un modello di gestione di mercato tout court, in piena coerenza con le dichiarazioni di Sala sul fatto che Milano debba ispirarsi a Londra.

Quanto alla verifica della ‘sostenibilità’ di un progetto firmato da due aziende del Comune, ATM e A2A, da parte degli uffici comunali, è po’ bizzarra. Il fatto poi che un piano a cui ATM – come ha ammesso il suo presidente – ‘sta lavorando da tempo’ sia venuto alla luce solo a maggio e che la documentazione sia sotto chiave dà il segno di quanto le condizioni poste dal mercato già prevalgano sulle esigenze del servizio pubblico, che, vale la pena ricordarlo, in italiano è il contrario di segreto. Significa che i manager di ATM e A2A hanno firmato il piano senza averlo concordato con l’azionista pubblico? Oppure che esso è stato tenuto segreto (e probabilmente avrebbe dovuto restarlo almeno fino all’approvazione degli aumenti tariffari) per tagliare fuori altri pretendenti (ad esempio la francese RATP)?

Il debutto del project financing

Uno degli aspetti inediti di questa vicenda è che per la prima volta in Italia (e probabilmente anche in Europa) si prospetta l’affidamento di un servizio attraverso il project financing. Il project financing in realtà è uno strumento nato per incentivare gli investimenti privati per la costruzione di opere pubbliche (non per la gestione di servizi). Un soggetto privato investe capitali propri nell’opera e le gestisce per un certo numero di anni per rientrare delle spese e ricavarne un profitto. In questo caso però il privato assumerebbe la gestone dell’intero servizio, ma il suo apporto economico riguarderebbe (almeno così pare) solo gli investimenti sulle linee e sul parco mezzi, mentre il costo del servizio rimarrebbe a carico del pubblico, attraverso i finanziamenti del Fondo Nazionale Trasporti, integrato dai fondi degli enti locali, che in cambio chiedono all’azienda di trasporto di realizzare gli obiettivi contenuti nel contratto di servizio stipulato con loro.

L’altra particolarità è che l’offerta da parte di Milano Next arriva prima che sia bandita una gara. Dunque quando il Comune dovesse farlo ne risulterà una situazione abbastanza anomala, in cui si chiederà ai partecipanti di presentare le proprie offerte sapendo che c’è già un piano elaborato ‘da tempo’ da una cordata di cui fanno parte due aziende di cui è azionista di controllo l’amministrazione che mette a gara il servizio. Sono le contraddizioni del liberalismo…

La logica del piano

Siccome l’economia ha una sua logica oggettiva, anche in assenza di documenti e informazioni chiare è possibile cercare di afferrare il senso generale del progetto Milano Next, anche inquadrandolo in un progetto politico-amministrativo più ampio. Sala ha puntato da subito sulla ‘vocazione internazionale’ di Milano, mirando a farne una delle grandi metropoli europee e attirandovi investimenti italiani ed esteri, in sostanziale continuità con quanto fatto con l’operazione Expo, da cui non a caso proviene il sindaco. In una città segnata da una tradizionale continuità amministrativa a prescindere dal colore delle giunte, nel 2016 Sala era il miglior candidato sindaco possibile: un manager appoggiato dal centrosinistra, ma considerato affidabile dal centrodestra, per realizzare la missione che unisce i liberali di ogni colore: fare soldi. In quest’ottica l’operazione Olimpiadi invernali, in collaborazione col Veneto leghista, e con la provvidenziale (auto)esclusione della giunta pentastellata di Torino, seguirà le orme impresse dalla coppia Pisapia-Maroni proprio in occasione dell’Expo. Tenuto conto che l’affidamento del trasporto pubblico locale a questo punto potrebbe scattare nel 2020-2021, per Milano Next significherebbe beneficiare di tutte le agevolazioni in arrivo da qui al 2026 (incluso l’aumento del biglietto) e dell’eventuale trascinamento inerziale post Giochi.

Gli investimenti previsti ormai da tempo per rimodernare il trasporto milanese riguardano le linee di trasporto rapido di massa (nuove metro e metrotranvie) e l’elettrificazione del servizio su gomma. Già l’anno scorso il governo di centrosinistra uscente aveva destinato fondi per 400 milioni di euro a questo scopo. La composizione di Milano Next tradisce l’obiettivo delle aziende che lo compongono: gestire questa partita senza dover fare affidamento su fornitori esterni, almeno per quanto riguarda alcune delle forniture più importanti. ATM è in grado di erogare il servizio, insieme a BusItalia, che potrebbe garantire l’integrazione (ma anche economie di scala) tra gomma e ferro. A2A parteciperebbe attraverso la sua controllata A2A Smart City, che si occupa di fibra ottica, ma anche di smart mobility ovvero servizi digitali per monitorare e ottimizzare il traffico, la sosta, la ricarica delle auto elettriche tramite colonnine ecc. Commscon è una società specializzata in reti mobili collocate in aree ad alto traffico come metro e linee ferroviarie. Hitachi Rail non è altro che l’ex Ansaldo Breda, che costruisce vagoni ferroviari. Infine IGPDecaux è un’agenzia pubblicitaria, che, attraverso le partecipazioni azionarie, potrebbe fare da trait d’union con una realtà milanese importante come il Corriere della Sera. Per la piena autarchia manca solo qualcuno che scavi le gallerie…

La città vetrina

L’operazione si situa in un quadro in cui l’idea di città del sindaco-manager e il suo modello sociale di riferimento sono chiari. Milano sta diventando l’epicentro di una bolla immobiliare che alcuni addetti ai lavori giudicano ormai matura e pronta allo scoppio. Secondo una recente ricerca della Federazione Internazionale Agenti Immobiliari il capoluogo lombardo è l’undicesima città al mondo nella classifica dei monolocali più cari, quasi 10.000 euro a metro quadro contro i circa 7.500 di Roma. Più in generale secondo Immobiliare.it il prezzo a metro quadro degli immobili a uso residenziale da giugno del 2018 a giugno 2019 è cresciuto del 5,47%. Il prezzo medio a metro quadro in centro è di 9.187 euro, contro i 5.792 di Berlino, poco meno di Parigi, che si appresta a sfondare il tetto dei 10.000. La conseguenza di questa impennata dei prezzi è che Milano, come molte metropoli italiane ed europee, sta espellendo i residenti dal centro, sempre più appannaggio del business e della medio-alta borghesia.

La trasformazione del trasporto pubblico milanese appare coerente con questa pianificazione urbana. Il programma approvato dall’Agenzia per la Mobilità di Milano, Monza, Pavia e Lodi prevedeva un duplice scenario, basso e alto, a seconda che il Fondo Nazionale Trasporti venisse tagliato o meno. Nel primo scenario, più probabile, l’Agenzia prevede di ridurre di due ore al giorno il servizio sulla rete extraurbana (che serve i quartieri dormitorio come Sesto San Giovanni, Cologno Monzese, Cinisello Balsamo), anticipando la fine delle corse dalle 24 alle 22 sulle linee principali e dalle 22 alle 20 su quelle secondarie.

Il taglio delle linee extraurbane e l’aumento del biglietto a 2 euro, combinato con l’entrata in vigore dallo scorso febbraio della ZTL più grande d’Italia – il 70% del territorio comunale e il 96,7% dei residenti – col divieto di circolazione che si allargherà per step successivi a un numero crescente di auto più vecchie e inquinanti è coerente col disegno di una città che tende a selezionare i propri residenti sulla base del censo, espellendo i lavoratori e chi appartiene alle classi sociali inferiori, ma mantenendo al proprio interno e anzi attirando chi ha redditi medio-alti (anche tra gli immigrati).

I lavoratori ATM

Nel 2017 tutte le sigle sindacali presenti in ATM avevano scioperato insieme per la prima volta da quasi 15 anni, dopo che Sala aveva annunciato l’intenzione di spacchettare i servizi erogati dall’azienda – trasporto in superficie e metro, parcheggi, bike sharing ecc. –  separandone la gestione e cedendone alcuni. Secondo i sindacati confederali sarebbero stati a rischio 2.000 dei circa 9.900 posti di lavoro.  Oggi Sala sembra aver cambiato strategia, optando per una privatizzazione in un unico lotto. Dal canto loro i sindacati confederali hanno dato il via libera dopo un incontro col direttore generale di ATM che ha dato loro garanzie su tre punti: il perimetro delle attività di ATM, che rimarrebbe invariato (quindi niente esternalizzazioni); il ruolo di BusItalia, che sarebbe subordinato a quello di ATM (i sindacati temono, ad esempio, che gli operai di FS possano sostituire quello delle officine ATM) e gli organici, che rimarrebbero invariati (IlGiorno050619). Per ora è probabile che le generiche rassicurazioni dell’azienda e un certo clima di ottimismo, fondato sull’idea che a Milano arriveranno grandi quantità di denaro pubbliche e private, potrebbe mantenere il clima sereno. Una volta che i contenuti del piano presentato dal consorzio di imprese verranno alla luce e poi man mano che le cose andranno avanti sarà interessante verificare quale sarà l’atteggiamento dei lavoratori e non sono escluse le sorprese.

Del resto le tensioni che covano sotto la superficie non mancano e a marzo alcune sono venute a galla. Una parte riguarda i neoassunti (l’anno scorso ATM ha reclutato quasi 600 giovani), che lamentano turni notturni fissi, dalle 23 alle 6,30 cinque giorni la settimana, turnazione che all’inizio doveva essere occasionale, ma alla fine è diventata la regola (Repubblica110319). Questi lavoratori giovani, sottoposti a condizioni di lavoro decisamente peggiori rispetto ai colleghi più anziani (capita sovente, vedi l’intervista su PuntoCritico230619) dicono di avere posto il problema, ma di non avere ricevuto risposte né dall’azienda né dal sindacato. Un altro focolaio di tensione è emerso tra i macchinisti della metro. Negli ultimi mesi a Milano si sono registrati numerosi incidenti dovuti a brusche frenate dei convogli, che in alcune occasioni hanno provocato anche numerosi feriti, pur lievemente. I macchinisti accusano l’azienda di scaricare responsabilità proprie su di loro. Un volantino della RSU aziendale diffuso a marzo recitava: ‘La catena di comando fa acqua da tutte le parti! Il risultato: funzionari improvvisati, nelle sale operative si naviga a vista, e il personale di stazione e i macchinisti lavorano costantemente sotto pressione e sotto attacco’. Un macchinista ha detto al Corriere: ‘Le frenate indebite sulla nostra linea sono molte più che in passato. Dunque, o tutti i macchinisti sono diventati all’improvviso inadeguati alla guida, o c’è un problema diverso che l’azienda si rifiuta di affrontare. Appena possibile l’Atm scarica tutto sui macchinisti dal punto di vista disciplinare. Quando c’è da “correre” per la regolarità del servizio le regole sono “morbide”; quando c’è un problema, le regole diventano inflessibili per i lavoratori. È inaccettabile’ (Corriere100319). Il risultato è che lo sciopero dello scorso 8 marzo, convocato da alcune piccole sigle di base, ha visto un’adesione altissima, anche dei lavoratori iscritti a CGIL CISL UIL, e il blocco del servizio è stato pressoché totale.

La sinistra milanese da tempo ha dato vita a un Comitato ATM Pubblica, che si sta battendo contro la privatizzazione, così come ha fatto, anche coi suoi esponenti in consiglio comunale, contro gli aumenti tariffari, senza però andare oltre il voto in aula, un appello e qualche iniziativa di propaganda. Ben più interessante appare ciò che si muove all’interno dell’azienda. La tensione che serpeggia tra i lavoratori dell’ATM, a quanto pare privi di un punto di riferimento sindacale (almeno da parte delle grandi organizzazioni degli autoferrotranvieri) potrebbe risultare un fattore decisivo. E in assenza di una sponda politica a sinistra potrebbe rivolgersi a una destra che, pur strumentalmente, sta giocando di rimessa sulle scelte dell’amministrazione di centrosinistra. Prima che anche Milano cessi di essere l’ultima ‘roccaforte della sinistra’ (o riserva indiana, a seconda dei punti di vista) sarebbe bene che qualcuno ci riflettesse.

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