ATAC La sfida inizia ora

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La sconfitta dei radicali nel referendum di domenica non metterà la parola fine allo scontro su un tema che stuzzica interessi economici rilevanti e provoca la rabbia dei romani, esasperati dai disservizi.

Come era prevedibile al referendum di domenica sulla liberalizzazione del trasporto pubblico locale romano il quorum del 33% non è stato raggiunto. Nonostante la pubblicità dei grandi media nazionali nella ultime due settimane, a votare sono stati solo 387mila romani, il 16,37% degli aventi diritto, in parte perché neppure sapevano della consultazione (il Comune, contrario, non si è certo fatto in quattro per darle risalto), in parte per scelta, perché non andare ai seggi era il modo più spiccio per dire no a una proposta che lascia perplessi gli utenti, pur inferociti per i continui e gravi disservizi. Proprio sulla loro esasperazione i radicali hanno puntato tutto, riuscendo, tutto sommato, a strappare un risultato discreto, quasi 400mila votanti, tre quarti dei quali favorevoli alla liberalizzazione dei bus, discreto purché però dopo aver evocato quella rabbia si dimostrino capaci anche di organizzarla.

La prima reazione del comitato promotore e del suo portabandiera Riccardo Magi, ex segretario dei radicali e protagonista di questa iniziativa, è stata quella di lamentare la scarsa pubblicità data dall’amministrazione Raggi al referendum e alcuni problemi ai seggi (qualche presidente ha respinto gli elettori privi del certificato elettorale, fino a che una nota del Comune ha precisato che non era necessario) e di annunciare un ricorso al TAR, perché secondo loro il quorum non sarebbe stato necessario. La giunta Raggi – affermano – prima ha cancellato l’obbligo di raggiungere il quorum dallo statuto del Comune, poi lo ha reintrodotto proprio in occasione del voto su ATAC.

Ciò che conta di più. dal loro punto di vista e più in generale per il ‘partito delle privatizzazioni’, è che in qualche modo la questione sia stata messa all’ordine del giorno. La proposta dei radicali si è arenata più per la loro debolezza che per la forza degli avversari e questo li incentiva a riprovarci, in altre forme. ’I Romani vogliono che ATAC resti pubblica – ha scritto la Raggi su Twitter – Ora impegno e sprint finale per rilanciarla’. Ma il problema è che finora a Roma non si è visto neanche quello iniziale di sprint.

La distribuzione del voto ha confermato un dato già emerso alle politiche del 4 marzo, cioè la divaricazione tra i quartieri bene del centro e le periferie. La maggiore affluenza infatti si è registrata nei quartieri centrali, con punte oltre il 25% ai Parioli e del 21% nel centro storico, mentre il risultato più basso, meno del 10%, è venuto dal sesto Municipio, un triangolo di Roma est compreso tra la Casilina e la Prenestina, che include quartieri popolari come Prenestino, Centocelle, Torre Spaccata.

Dunque a rispondere all’appello dei radicali sono stati soprattutto gli elettori degli unici municipi in cui ancora il PD ha ancora un peso, anche se il PD, per l’ennesima volta è riuscito a spaccarsi e a non giocare alcun ruolo nella campagna referendaria. Se da una parte infatti il PD nazionale, in testa Renzi e l’ex candidato sindaco, Roberto Giachetti, si è schierato a favore della privatizzazione, dall’altra una fetta consistente del PD locale si è schierato più che a difesa di ATAC a difesa del proprio residuo serbatoio elettorale nell’ambito delle aziende partecipate (ATAC e AMA da sole rappresentano quasi 20mila famiglie) e dei propri rappresentanti all’interno della burocrazia capitolina. Del comitato Mejo de No, lanciato ai primi di aprile, facevano parte la capogruppo nel Municipio I, Sara Lilli, che è riuscita a perdere in casa propria, l’ex deputato Marco Miccoli e due ex presidenti di municipio, Emiliano Sciascia (IV) e Daniele Torquati (XV).

Lo sbilanciamento dei media a favore delle ragioni del sì, che negli ultimi giorni ha reclutato anche due personaggi del cinema come Carlo Verdone e Sabrina Ferilli, non ha trovato risposta in una reale opera di controinformazione da parte del fronte del NO, nonostante la presenza al suo interno di soggetti potenzialmente in grado di svolgere un’azione capillare, come il sindacato confederale, schierato contro la proposta dei radicali.

La vittoria di domenica nell’urna non va confusa con una vittoria sul campo. Alcuni media nazionali hanno già lasciato trasparire la chiara intenzione di fare del referendum l’inizio e non la fine della battaglia, annunciando che, quorum o no, ‘non si potrà non tenere contro degli esiti del voto’. La possibile accelerazione della crisi AMA, che in settimana potrebbe vedersi chiudere i rubinetti del credito dalle banche per la mancata approvazione del bilancio, e i cumuli di spazzatura nelle strade della Capitale potrebbero alimentare ulteriormente la comprensibile rabbia dei romani e incentivare settori politico-economici a indirizzarla nei confronti dei lavoratori delle partecipate. Nei giorni scorsi a Tor Sapienza alcune squadre dell’AMA sono state aggredite a calci e pugni al grido di ‘Nullafacenti, imboscati’ e un lavoratore è finito al pronto soccorso. L’isolamento è sentito anche dai dipendenti dell’ATAC, come ammettono alcuni autisti che abbiamo incontrato nelle scorse settimane in alcune rimesse e capilinea. ‘In un certo senso siamo un obiettivo pagante come i migranti. – ci spiega uno di loro all’uscita del deposito di Grottarossa – Per gli utenti è più facile prendersela con noi perché è saltata la corsa precedente piuttosto che prendersela con chi è il vero responsabile dei disservizi, ma in strada non si vede mai. Noi invece siamo lì, a disposizione per essere insultati’.

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