Aborto, Irlanda al voto ‘Oggi la legge uccide le donne’

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In Irlanda giovedì si tiene un referendum per il riconoscimento del diritto all’aborto nel paese. Si tratta in sostanza di abrogare un emendamento inserito nella Costituzione nel 1983, che di fatto vieta l’aborto in Irlanda (ma non all’estero), punendolo con pene fino a 14 anni. In questa lunga intervista Therese Caherty, esponente della Trade Union Campaign to repeal the 8th, la campagna dei sindacati per l’abrogazione dell’Ottavo Emendamento, ci spiega il contesto in cui è maturata la decisione di convocare il referendum e perché i lavoratori irlandesi e gli iscritti al sindacato (in maggioranza donne) pensano che le organizzazioni dei lavoratori debbano battersi per tutelare la libertà di scelta e la salute delle donne. Dalle parole di Therese Caherty emerge un atteggiamento della società irlandese nei confronti della maternità che assume connotati oscurantisti e inquietanti.

Ciao, Therese, grazie per averci dedicato del tempo nei giorni conclusivi di una campagna così impegnativa. Puoi spiegare ai lettori di PuntoCritico la situazione politica e sociale in cui il tema dell’aborto è diventato oggetto di dibattito?

L’ottavo emendamento, integrato nella Costituzione irlandese nel 1983, rende la vita di una donna equivalente a quella di un ovulo fecondato. E vieta l’aborto tranne quando la gravidanza costituisca un rischio significativo per la vita della madre. Senza eccezioni.

Tuttavia esso non impedisce alle donne irlandesi di abortire. Ogni giorno nove di loro sono costrette a lasciare il paese per ottenere un trattamento sanitario che potrebbe tranquillamente essere garantito dal servizio sanitario irlandese. Mentre il triplo prende la pillola abortiva senza alcun controllo medico. Negli ultimi 25 anni più di 170mila donne sono  state all’estero per effettuare un’interruzione di gravidanza.

L’ottavo emendamento, dunque, si limita a rendere la vita delle donne più difficile, in particolare a quelle senza soldi, a quelle che non possono spostarsi per problemi fisici, alle giovani donne e lavoratrici che faticano a prendersi qualche giorno di ferie con poco preavviso per andare all’estero. Inoltre un aborto può costare più di 2mila euro.

C’è un’ipocrisia di fondo. L’aborto all’estero è legale perché gli elettori irlandesi, con un altro referendum, hanno consentito alle donne di informarsi sulla possibilità di praticare l’intervento all’estero e andare a sottoporvisi. Chi invece usa la pillola rischia fino a 14 anni di carcere, più di una condanna per stupro. E lo stesso vale per chi le aiuta.

I medici che cercano di tutelare in modo equilibrato il diritto alla vita del ‘non nato’ e quello della donna affrontano ‘significative difficoltà’, ha spiegato il dottor  Peter Boylan, il quale ritiene anche che il divieto abbia ‘causato gravi danni alle donne, inclusi alcuni decessi’.

Savita Halappanavar ha chiesto l’interruzione di gravidanza a seguito di un aborto spontaneo. Ma la paura della legge ha fatto sì che i medici abbiano rimandato l’intervento fino a che il cuore del feto ha continuato a battere. Così la donna è andata in setticemia ed è morta. Il professor  Sabaratnam Arulkumuran, che ha diretto l’inchiesta del servizio sanitario irlandese, ha espresso un giudizio inequivoco: ‘Savita è andata in setticemia. Se le avessero praticato l’aborto nei primi giorni di ricovero, come aveva chiesto, non sarebbe successo… Fosse capitato a me avrei praticato l’interruzione di gravidanza, ma il consulente dell’ospedale evidentemente pensava che il rischio per la madre non fosse tale da rendere l’intervento lecito secondo la legge irlandese’.

La realtà è che qui, una volta che la donna è incinta, non è più padrona di decidere il trattamento medico a cui sottoporsi. L’ottavo emendamento chiede agli ospedali di evitare qualunque terapia, incluse quelle anticancro, che possa condurre a un’interruzione di gravidanza o mettere in pericolo il feto.. Per cui l’ospedale può tranquillamente ignorare le volontà della donna. Come ha riferito una donna: ‘Mi hanno detto che non avevo possibilità di scelta riguardo al trattamento da seguire. Era tutto demandato alla “politica dell’ospedale”’.

Per intervenire su uno qualunque di questi aspetti del problema la prima condizione è rimuovere l’ottavo emendamento dalla Costituzione. Nulla può essere fatto se esso resta in vigore. Il 25 maggio abbiamo l’occasione di abrogarlo e di dare al Parlamento il potere di fare una legge che consenta aborti sicuri, regolamentati, accessibili alle donne che ne hanno bisogno mediante il nostro servizio sanitario nazionale.

Cosa rappresenta il tema dell’aborto nella storia e nella cultura irlandese?

Storicamente l’Irlanda ha trattato le donne in modo orrendo e quel ‘trattamento’ si è concentrato soprattutto sulla nostra capacità riproduttiva. Il modo in cui ci si è occupati di aborto riflette un’altra faccia della radicata convinzione che la donna, quando si tratta del suo apparato riproduttivo, non vada ascoltata. Al contrario la salute dell’apparato genitale degli uomini non è mai stata al centro di tragedie o scandali di tal fatta.

Più recentemente abbiamo avuto la tragedia del CervicalCheck, quando 209 donne hanno fatto il pap test e il referto non ha segnalato problemi che invece erano presenti. Da allora 18 di quelle donne sono morte. Peggio ancora, il servizio sanitario ha tenuto la cosa nascosta per due anni.

La storia è venuta alla luce quando una donna, madre di due figli, Vicky Phelan, ha intentato una causa alla Corte Suprema chiedendo un indennizzo di 2,5 milioni di sterline dopo che, nel 2011, non le era stato comunicato in modo corretto che era risultata positiva a un pap test. Ora è malata terminale e delusa dal servizio sanitario per ragioni che ci saremmo potuti risparmiare..

Dal XVIII alla fine del XX secolo abbiamo avuto le famigerate ‘lavanderie di Maddalena’, dove si praticava l’aborto su donne e adolescenti incinte, in condizioni più nocive di quelle di un carcere. Come sempre nessun uomo è mai stato biasimato e neanche solo citato per averle rese incinte.

Negli anni ’90 abbiamo avuto lo scandalo antiD, in cui non una ma ben due volte ambulatori pubblici per la trasfusione del sangue hano infettato alcune madri trasmettendo loro l’epatite C.

Poi ci sono le oltre 1500 donne che senza che venisse loro richiesta un’autorizzazione, ma anzi completamente ignare, hanno subito un intervento di sinfisiotomia durante il parto per facilitare la nascita. Gerry Adams ha descritto questa pratica come un ‘abuso istituzionale con atti di macelleria nei confronti delle donne’.

All’Ospedale Nostra Signora di Lourdes a Co Louth, si è scoperto che il dottor Michael Neary aveva rimosso l’utero a numerose donne dopo il parto senza né chiedere lì’autorizzazione né informarle.

Come ho già  detto l’attuale scontro sull’aborto è un’altra espressione di un atteggiamento diffuso nei confronti delle donne: non si ha fiducia nella nostra capacità di ‘fare la cosa giusta’ e veniamo viste piuttosto come un serio pericolo per la vita del feto e dunque come soggetti da mettere sotto la vigilanza della legge.

Nel 1983 i potenziali effetti dell’ottavo emendamento erano già evidenti. Sempre al N.S. di Lourdes, Sheila Hodgers, già madre di due figli, incinta e malata di cancro, chiese il parto cesareo in modo da poter continuare le terapie. Le venne negato. Suo marito Brendan Hodgers ricorda che ‘stava letteralmente urlando. Potevo sentirla dall’atrio delì’ospedale, mentre lei era ricoverata in un reparto al quarto piano’. Il loro bambino venne partorito e morì. Due giorni dopo, il 16 marzo, morì anche Sheila. Eppure l’ottavo emendamento venne approvato sei mesi dopo.

Il dottor Boylan dice che sono almeno tre le donne sono morte a causa dell’ottavo emendamento. ‘Savita Halappanavar è morta per questo. Michelle Harte, che era curate dal professor Louise Kenny, è morta per la stessa ragione. Anche Sheila Hodgers. E poi abbiamo il caso di Miss P’.

Per cambiare qualcosa è stata necessaria una grottesca violazione dei diritti delle donne: il processo alla 14enne Miss X: nel 1992, incinta a seguito di uno stupro da parte di un amico di famiglia, chiese di poter effettuare l’interruzione di gravidanza. Lo Stato emise un’ordinanza restrittiva costringendo lei e la famiglia a rimanere chiusi in casa. Ne seguì una causa e Miss X si suicidò. La Corte Suprema decretò allora che l’aborto era consentito se la vita di una donna, in questo caso di un’adolescente, è in pericolo. Per 20 anni quella regola è rimasta lì, senza che il Parlamento facesse nulla per farla diventare legge.

Poi, nel 2012, è morta Savita Halappanavar. Le manifestazioni di piazza conseguenti sono state incredibili. Da quella tragedia è venuta, nel 2013, la Legge per la Protezione della Vita durante la Gravidanza. Questa norma definisce il ‘non nato’ come un essere umano dal momento della fecondazione e dunque gli consente di essere difeso in tribunale, come è successo anche di recente.

Se venerdì vincono i sì, dunque, è solo l’inizio di un’altra battaglia. Speriamo che non ci vogliano decenni per garantire un aborto sicuro, legale e regolato al nostro paese.

Perché il sindacato ha deciso di aderire alla campagna referendaria? Perché i lavoratori dovrebbero votare sì?

Accanto ai tradizionali temi sindacali abbiamo una tradizione di sostegno ai vari movimenti della società civile: la campagna contro l’apartheid in Sud Africa, il movimento per il boicottaggio e le sanzioni contro Israele e a favore del popolo palestinese e le campagne antiausterity. Qui in Irlanda non ci sono differenze tra i diversi piani.

Inoltre le donne rappresentano il 51% degli oltre 700mila iscritti al sindacato, considerando sia l’Irlanda del nord sia l’Irlanda del sud. Molte di queste sono ovviamente nell’età in cui possono avere figli. Nel 2015 il Congresso dei Sindacati ha scritto in un documento: ‘Il nostro movimento ha una storia di sostegno ai diritti delle donne e difesa della sua libertà di scelta riproduttiva di cui andiamo orgogliosi. Il Congresso considera che ogni limitazione a tali diritti rappresenti una limitazione alla piena eguaglianza sociale, economica, politica e lavorativa’.

Tale affermazione riecheggia l’analoga posizione espressa nel 1983, quando il Congresso affermò chiaramente che la Costituzione non era il luogo in cui occuparsi di aborto e si oppose all’introduzione dell’ottavo emendamento.

I sindacati che aderiscono alla campagna riconoscono che l’ottavo emendamento ci riguarda tutti, donne e uomini. Il nostro movimento si batte per l’eguaglianza e la solidarietà. Crediamo di non poter cerare una società egualitaria se alle nostre sorelle, madri, figlie e colleghe di lavoro viene negato il diritto di decidere del proprio corpo. Il diritto alla salute non deve avere limitazioni.

Da un’inchiesta all’avanguardia realizzata dai sindacati in Irlanda del nord e del sud e intitolata ‘Il tema dell’aborto nei luoghi di lavoro’, risulta che l’80% delle 3mila persone che hanno preso parte alle interviste ha detto di voler cambiare la legislazione isull’aborto in tutta l’isola e di voler mettere al primo posto la salute delle donne. Questa ricerca ha provato oltre ogni dubbio che si tratta di un tema di cui bisogna che il sindacato si occupi.

Come si sono schierati i partiti?

Fine Gael e Fianna Fáil, un tempo ai ferri corti per la disputa sulla divisione della nostra isola, ora sono parte di una fragile coalizione di governo, che ha convocato questo referendum. Il Sinn Féin, l’unico partito presente in tutte e 32 le contee dello Stato, è diviso. Tutte e tre hanno eletti in Parlamento e negli enti locali che stanno prendendo parte alla campagna referendaria da entrambe le parti della barricata. Ma Fianna Fáil e Fine Gael non esprimono una posizione ufficiale, mentre il Sinn Féin sostiene il sì..

Altri partiti, tra cui i laburisti, i verdi, Solidarity, People Before Profit e gli Indipendenti per il cambiamento, sostengono il sì. Numerosi politici non iscritti ad alcun partito stanno facendo altrettanto, ad esempio i ministri Shane Ross, Katherine Zappone, Finian McGrath e John Halligan. Poi non bisogna dimenticare  che ci sono alcuni indipendenti eletti nei collegi di campagna schierati  col no. Tra i partiti fuori dal Parlamento schierati col sì c’è l’Éirigí, tra quelli per il no ci sono Renua e alcuni gruppi di estrema destra, perlopiù legati alla Chiesa Cattolica.

Di recente ci sono state numerose lotte a difesa dei diritti delle donne in Europa, ad esempio in Polonia). Avete preso contatto?

La nostra campagna si è concentrata in primo luogo sul sindacato irlandese e sui nostri iscritti ,con l’obiettivo  di ottenere il massimo numero di voti per il sì. Ma abbiamo avuto rapporti coi sindacati britannici e preso parte a conferenza a Berlino a cui hanno parlato anche esponenti della Linke.

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